Ce l'ha fatta! Lore Gaggio ripete "Cittadini della Galassia" in solitaria la storica via di misto del Legnone.
Quest’anno ho tenuto d’occhio la linea di “Cittadini della Galassia”, una via che percorre il canale centrale partendo dalle radici della parete fino ad un paio di centinaia di metri dalla cima.
Aperta nel 1981 da G. Miotti eP. Scherini, Cittadini è la via più conosciuta della parete N, famosa per il mitico primo verticale (cascata Spisaròta) una colonna di ghiaccio incastonata nella zona inferiore della linea. Questa è seguita da una serie di saltini abbelliti dalla roccia attorno, lavorata per millenni da acqua e ghiaccio.
La via è gradata ED con difficoltà su ghiaccio fino al IV/IV+; le difficoltà e la lunghezza obbligarono i primi salitori a compiere l’ascesa in due giorni, il primo a riuscire nell’impresa in solitaria e in giornata è stato un giovane Tita Gianola nel febbraio 1984.
Dopo una ritirata in cordata con Nick il 28 gennaio, sembrava che le speranze di salire Cittadini della Galassia quest’anno fossero svanite, non pensavo potesse fare ancora abbastanza freddo per permettere un ulteriore tentativo.
L’occasione si ripresenta dopo 2 settimane, l’11 febbraio: la settimana prima le temperature sono rimaste basse e già dal 12 è previsto un netto rialzo della temperatura. Ora o mai più.
Ore 4.30: suona la sveglia, latte e caffè dal thermos, alle 4.45 sono pronto. Percorro il sentiero che entra in Valorga più velocemente possibile, non vedo l’ora di picchiare un po’ di ghiaccio. In lontananza sento lo scroscio del torrente: “Troppa acqua perché sia in condizioni” penso, continuo preoccupato fino all’attacco della via. Arrivato alla prima cascatella valuto le condizioni, sotto si vede l’acqua scorrere, ma il ghiaccio a lato e sopra sembra buono, decido di iniziare a salire, in caso di problemi c’è ancora la possibilità di uscire e proseguire dal pendio a destra. I primi salti riesco a salirli senza problemi, fino ad una cascata con un grosso buco nella parte inferiore che non mi ispira molta fiducia, do un’occhiata da vicino e valuto la possibilità di uscire e aggirarla. Non faccio in tempo a pensarlo che il ghiaccio sotto di me si sfonda all’improvviso e mi ritrovo nell’acqua gelata fino alla vita. Rotolo fuori più in fretta che posso, ed è subito “Cazzo, questa non ci voleva”.
Sono fradicio, il primo pensiero è togliere il tabacco dalla tasca dei pantaloni: è ancora asciutto, almeno una fumata potrò farmela. Mi torna in mente la prima volta che ho messo i ramponi, 12 anni fa: ero fiondato in una pozza con tutto il corpo, mio papà mi aveva fatto camminare per un po’ e non avevo patito freddo. Farò così anche oggi, non può finire ancor prima di iniziare, comincio a camminare ed esco dal canale. Di qui non si passa.
Sta albeggiando e sono al cospetto del primo verticale, fa venire una voglia matta di salirlo, ma si vede che non è in condizioni, seguo la cengia che taglia a sinistra e saluto la Spisaròta, chissà se si riuscirà più a fare.
Ore 8.30: mi trovo sotto al secondo verticale, una grossa cascata di 55 metri: è il momento di tirar fuori corda, viti, grigri e un po’ di protezioni rapide per far sosta in cima. Prendo tutto il necessario e lascio lo zaino alla base, lo recupererò dopo.
Il ghiaccio qui è perfetto, la scorsa volta abbiamo rinunciato perché proprio in questo punto non teneva. Lentamente arrivo in cima alla cascata, trovo una buona fessura per mettere due chiodi e mi calo sulla corda fissa per recuperare le viti e lo zaino. Risalgo rapidamente: la corda dallalto è sempre un lusso, posso permettermi di salire dove la cascata è più verticale e meno proteggibile, mi diverto finché posso.
Ora sono nel grande canale dove si è schiantato un aereo l’anno scorso, la neve portante e la pendenza clemente mi permettono di arrivare velocemente alla sua parte sommitale. Proseguo dritto per le ultime colate, raggiungo il sentiero degli angeli e qui devo valutare da che parte salire: a destra seguendo Cittadini o a sinistra, dalla cresta Adele? Seguire la cresta sembra la scelta migliore: unire la via più bella del Legnone con la sua cresta più estetica, sarà uno spettacolo!
Sono le 13.30: mangio qualcosa, fumo una sigaretta e mi godo il panorama: il Monte Rosa e il Cervino in lontananza, le alpi del Lario occidentale che sovrastano il lago illuminato dal sole insieme al conoide di Colico. È tutto così vicino, ma questa parete selvaggia mi fa capire che sono io ad essere molto lontano. Sono all’ombra, fa freddo, il vento inizia a farsi sentire e la neve non è più portante, niente a che vedere col clima di comfort che c’è giù.
Basta contemplare, è tornato il momento di ravanare, mi tiro insieme e rimetto lo zaino in spalla. Adesso è diventato pesante, lo sento gravare sulla schiena; meglio non pensarci.
Mente mi muovo verso sinistra studio il modo per raggiungere la cresta: sembra che si passi su una crestina secondaria, c’è un evidente passaggio di misto da superare: saprò una volta che ci sarò sotto. Il passaggio si dimostra ostico specialmente per la precarietà della roccia, faccio attenzione e con un po’ di disgaggio e delicatezza riesco a passare. Alla cresta mancano ancora 200 metri che mi danno del filo da torcere per la quantità di neve inconsistente, adesso con sole e caldo sarà dura arrivare in cima.
Anche la cresta non si concede facilmente, nessuno l’ha mai fatta quest’anno e mi tocca tracciarla tutta, anche dove si congiunge con la direttissima non c’è mezza traccia, sprofondo ad ogni passo.
Sono le 17.30 quando arrivo alla cresta est, il cielo si sta arrossando e ho mezz’ora per arrivare in cima. A passo stanco proseguo per la cresta ventata in direzione anticima, mentre tutto attorno si infuoca.
Ore 18.00: è Cumbre! Giusto in tempo per il tramonto, ancora non ci credo… mando un paio di messaggi: “Ce l’ho fatta ragazzi!”, “Ce l’ho fatta Franci!” Non riesco a realizzare di esserci riuscito. Mi fermo un po’ in cima ma so che non posso permettermi una sosta troppo lunga, 10 minuti e inizio la discesa.
Le gambe adesso si fanno sentire, specialmente il ginocchio, mi ci vogliono 3 ore per arrivare all’alpe Rossa dove mi aspetta la Franci. Mi è venuta incontro con il pickup, risparmiandomi un'altra oretta di discesa.
È finita: la abbraccio tutto bagnato dalla neve che mi si è attaccata addosso durante discesa.
La salita che ho raccontato è stata forse la più impegnativa che ho fatto fin adesso, ha un grande valore per me. Questa parete mi ha insegnato ad apprezzare la montagna, a rispettarla perché l’uomo in questo ambiente selvaggio deve adattarsi invece che adattare e accorgersi di essere un ospite che deve entrare in punta di piedi, in Silenzio e con la testa china.
Lorenzo Gaggini
Alpinista - Atleta Rupe